Scopriamlo, attraerso le parole di suo nipote Fançois de Bondy.

Entrò e la pace entrò con lui

Nel 1909, all’occasione del suo primo viaggio in Francia (venendo dall’Algeria), Charles incontra dopo tanti anni il figlio di sua cugina Maria. François era considerato dalla famiglia come una persona provocatrice e fuori dagli schemi, tra l’altro per i suoi romanzi un po’ piccanti. Charles lo incontra con rispetto e senza pregiudizi.
Vi proproniamo il racconto di questa visita che François ha scritto per se stesso e i suoi cari. Racconto che é stato publicato nel 1954 in “l’Appel du Hoggar”.

“Il pomeriggio di giovedì io attendevo con ansia l’arrivo del mio visitatore.
Fuori il vento soffiava, c’era brutto tempo e faceva freddo.
Intravidi lontano una figura nera di prete che attraversava il viale. Ero molto intimidito.
Il portiere aprì la porta. Padre Charles di Gesù fu introdotto.
Entrò e la pace entrò con lui. Venne, con le due mani tese verso di me e disse semplicemente:
Caro François, …. non ti avrei riconosciuto!”.
Ma, io lo avrei riconosciuto? Sicuramente no!
Tuttavia ritrovavo la brillantezza dei suoi occhi e soprattutto il sorriso umile che traspariva da tutta la sua persona.
Non restava nulla del Charles de Foucauld che conservavo nella mia memoria. Avevo davanti a me un prete secolare, con un miserabile cappottino nero, che nascondeva quasi completamente la sua veste di missionario. Sul petto la croce e il cuore color ciliegia. Aveva in mano quello che noi chiamiamo comunemente un cappello da prete. Questo povero cappello doveva essere volato via col vento e poi rotolato nel fango, perché era tutto macchiato di terra sui bordi.
Io guardavo questo volto rugoso e cotto dal sole, con la barbetta rara e brizzolata, i capelli rasati sul suo cranio grigio. La tunica, scalfata sul collo, lasciava trasparire un collo color mattone, muscoloso.

Mi sedetti accanto a lui e parlammo.
Sono partito da Tamanrasset il giorno di Natale. Dopo cinque settimane di cammello e sei giorni di diligenza sono arrivato ad Algeri. La mia parrocchia è grande come la Francia …. Vivo solo, in mezzo ai tuareg.  Sto lavorando per una grammatica franco-tuareg. Se eventualmente l’opera sarà pubblicata, non sarà con il mio nome. Non converto nessuno, perché penso che non bisogna essere troppo precipitosi. Metto solo le basi, dando medicine, offerte e parlando con i nomadi. Cerco di dissuadere le giovani mamme dal fare degli infanticidi. Ricevo posta ogni due o tre mesi.”

Questo è il riassunto che mi ha fatto della sua vita nel deserto.
“So che hai scritto un romanzo.”
Ebbi un movimento di ripulsa, quasi di negazione. (Mio Dio! L’opera del nevrastenico… gliel’hanno detto!)
Se puoi darmene un esemplare sarò felice di leggerlo!”.
Ma non è affatto un’opera che ti possa piacere, cugino Charles!
“Perché? Anche io ho vissuto … dev’essere molto bello.”
Questa benevolenza mi fece vergognare di me stesso, confuso di non avere altro che sciocchezze, o per lo meno frivolezze, da fargli leggere, a confronto della carriera così pura e dura scelta da Charles.

Così accadde che, contrariamente a ciò che avevo previsto, io stesso mi facevo dei rimproveri e lui, con la sua bontà e dolcezza umile, mi trovava delle scuse.
Si avviò per andarsene, riprese il suo cappello. Il fango, biancastro, intorno ai bordi era seccato.
-Aspetta, cugino Charles, …. Spazzolo il tuo cappello …. Non puoi partire con un cappello così …
“Ecco un servizio, mio buon François, che io non potrò renderti se tu vieni a trovarmi a Tamanrasset.”
-Perché?
“Perché non ho una spazzola …. ”
-Come? Non hai nemmeno una spazzola?!
“Beh!… No! … “

Poi, sulla porta, il cugino Charles mi salutò serenamente e se ne andò.
Dopo la sua partenza rimasi pensieroso, come un po’ affascinato da questo visitatore insolito, già sparito.
Ero certo che mentre Charles mi aveva parlato, con lui, nella stanza era calata una benedizione e che attorno a me galleggiava ancora un qualche cosa di soave e di infinitamente calmo.

Non aveva detto nulla che in sé mi sconvolgesse. L’incredibile felicità che emanava da lui mi dimostrava la superiorità della sua essenza, la stabilità, la continuità. Infatti, ascoltandolo parlare, nella sua semplicità, della vita appassionata che conduceva, non si poteva dubitare che ne fosse perfettamente felice.
Come non convertiva i musulmani, così non ha cercato di farmi la morale, ma forse, senza saperlo o senza pensarci, in me gli piaceva quel lato passionale che conosceva, anche se questa tendenza era all’opposto del suo ideale.

Sono sicuro di aver visto, durante questa visita, Charles circondato da una irradiazione, non luminosa, certo, né visibile, ma percettibile attraverso un non so quale senso, che noi non abbiamo ancora definito.
Così questa musica silenziosa si prolungava dopo la partenza dell’apostolo, continuando a nutrirmi con le sue onde benefiche, portatrici di beatitudine e di sogno, fino al momento in cui mi chiamarono per rispondere al telefono.
Era una ballerina dell’Opera, famosa e spirituale.

“Ah! Sei tu? … stai bene?”
-Molto bene, grazie! Ma… come mai? È solo per avere mie notizie che mi telefoni?
“Sì e no. Volevo domandarti se puoi venire a cena con qualche amico … Solo che avevo già cercato di telefonarti oggi pomeriggio, ma il portiere mi ha risposto che non dovevo disturbarti … stavi con un prete …
Allora … capisci, ero un po’ preoccupata! …”
– No, no … era un parente. Non era per l’estrema unzione.

Ridevo di questo intermezzo … ed ero triste.
Ero triste perché quando la musica cessa, quando l’orchestra si blocca improvvisamente, si sente solo il rumore terra terra di tutto quello che non è musica.
Ma la vita è così, tessuta di contrasti: bruciante e poi ghiacciata all’improvviso.

E anche l’uomo è così: doppia faccia. Solo nei vecchi drammi del repertorio classico l’eroe è tutto buono e il traditore è tutto cattivo. In realtà ciascuno è l’uno e l’altro.

Tuttavia, quella sera, l’episodio della ballerina è stato fugace, ma i minuti di Charles si sono impressi, eterni!


Mite, sorridente, umile. Infinitamente libero.

François è nato nel 1875. Nel 1888, quando viene pubblicato Reconnaissance au Maroc (Esplorazione in Marocco), François ha appena 13 anni. Ecco il suo ricordo:

“Non ho conosciuto Charles quando conduceva in Francia una vita un po’ turbolenta di giovane sottotenente, perché ero molto piccolo. Ma nel 1888, al momento della pubblicazione di “RECONNAISSANCE AU MAROC”, io lo vedevo spesso a casa di mio nonno, dove abitavano i miei genitori.
Ho molto chiaro nella memoria questo cugino eccezionale, così mite, sempre sorridente, piuttosto discreto. Aveva già una predilezione per l’umiltà, al punto che io e mio fratello pensavamo che fosse venuto al mondo per farsi prendere in giro e per farci dei regali.
Ci regalò la sua divisa militare, per poter giocare a recitare con gli altri bambini: avevamo il suo sciaccò di San Ciro (cappello della scuola militare, n.d.t.), il suo cappello di battaglia di Saumur.
Poi, poco a poco, tutti gli oggetti riportati dal Marocco passarono da noi: pistole, fucili, pugnali, bardature con i ciuffi di seta, soprattutto i burnus e i barracani (copricapi e tuniche, abbigliamento tipico della gente del nord-Africa, n.d.t.).
Non avevamo minimamente compreso che un uomo che si disfa così facilmente dei ricordi dei suoi viaggi – e che viaggi! – non è più attaccato a granché sulla terra.”

E Charles offre a François un esemplare unico del suo libro, al quale aggiunge 28 pagine manoscritte con alcuni disegni.